PRIMA

 
 
 
 
 

Voglio andare via. Non mi piace
star qui. Mi ripetono di stare tranquilla, buona, di essere gentile. Di non
farli arrabbiare. Di non ribellarmi. Di comportarmi bene. Di fare quel che mi
dicono. Di fare come mi dicono. Di obbedire. Ma io voglio andare via. Ci ho già
provato una volta ma mi hanno ripresa subito. Dove credi di andare, mi hanno
detto. Ora vedrai che cosa succede a quelle come te. Non me le hanno date, oh
no. Peggio, molto peggio. Mi hanno riempita di pillole. Mi hanno farcita come
un pollo, e sono diventata come un pollo. Stupida, balbettante e incapace di
volare. Ma me ne andrò. Lo so io e lo sanno loro. Per questo sono diventati
molto più attenti: ogni passo, ogni singola cosa che faccio è controllata. E
giudicata. E se non gli va a genio il controllo si fa più stretto, la mia
libertà di movimento sempre minore. Irrisoria. Entrano nella mia stanza di
notte e di giorno, spiano quel che riesco a scrivere. Lo so. Ho messo dei
capelli tra le pagine del mio diario e la mattina non li trovo più. Hanno
letto. Allora ci ho scritto che mi spiano e loro me l’hanno buttato, e hanno
aumentato le pillole. A volte riesco a sputarle, ma non sempre. Sono
intorpidita, mi fa male la testa, lo stomaco, tutto. Anche in bagno non posso
più chiudermi a chiave. L’hanno tolta. Dicono che è per il mio bene, perché non
mi succeda qualcosa di male. Che cari. Intanto ho sempre più freddo. Meglio.
Prima arriva l’inverno, prima compio diciott’anni. E me ne vado di casa.

 

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DONNA IN NERO

 

 

“Il vivere ha di queste cose: ogni tanto si rimane a zero.”

Clarice Lispector

 

  

 

 

Lei
è nel bagno, seduta sulla tazza. Sta leggendo un’intervista a Kubrick sulla
guerra. Legge, e si chiede come sia stata tradotta, se non ne abbiano stravolto
il senso, dopotutto.

Ma
che cosa importa. Che cosa importa.

Non
è di questo che vorrebbe parlare, non di questo vorrebbe scrivere. Vorrebbe
come tutti scrivere quel che non è stato ancora scritto, naturalmente. Continue reading

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parlano di me

Stamane,  cercando altro – le vie misteriose dei motori di ricerca – sono capitata in

 

http://www.storie.it/italiablogforum.htm

 

e ho letto:

"In una sofisticata miscela di scrittura civile e puramente narrativa, il
blog di Fiamma Lolli dispensa storie dalla cocente radice politica,
racconti a puntate e tonalità varie dell’autobiografia con non casuale
sobrietà grafica e romantiche aperture allo sperimentalismo linguistico."

 

 

Non me l’aspettavo, nemmeno un po’. Grazie, lecontian*.

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CARNALE

 
 

 

 

 

 

 
 

‘É l’ultima volta che prendo un autobus da
vergine. É l’ultima volta che vedo con occhi di vergine questo negozio di
dischi che conosco come un museo. Chissà se avrò mai un giradischi tutto per
me. Chissà se sarà facile leggermi in faccia, tra poche ore, che l’avrò fatto
per la prima volta.’


Era una giornata di dicembre, mercoledì o giovedì
ventisei dicembre, Santo Stefano. Il sole era alto, il cielo terso, l’aria
aguzza e fredda. L’autobus quasi vuoto lasciò il capolinea girando leggero
intorno alla piazza mostrandole il mondo in un cerchio perfetto. La città, che
per quel poco che ne conosceva, lei che da sola non usciva quasi mai e senza
comunque allontanarsi dal quartiere dove era nata e cresciuta, le appa­riva in
genere nemica, incomprensibile e ostile: quel mattino le riservava invece
all’improvviso una sorpresa, una cedevo­lezza che stordiva. Le strade, una dopo
l’altra, le si arrende­vano davanti e intorno.


“Lo so, vuoi fare l’amore. Con me.”


Era vero. Avrebbe preferito una domanda ma la
risposta sa­rebbe in ogni caso stata: sì.
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STANZA 31

 

 

                    


       

 

 

 

 

 


               “Dottore?”

“Sì?”

“Vorrei
parlarle. Se ha un minuto…”

“Prego.”

Indicazione
di una poltrona, giro della scrivania.

“Mi
dica.”

Non
dici: vorrei sfidare il suo codice oscuro, pulirmi le scarpe sul potere delle
sue parole, dette e non dette. Dici: Continue reading

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LIMA (Perù) 1983

 

 
 

 

     Tamara vola due volte

    Rosa
fu torturata, sotto il controllo di un medico che ordinava quando
fermarsi, e violentata, e fucilata con pallottole a salve. Ha passato
otto anni in prigione, senza processo né spiegazioni, finché l’anno
scorso l’hanno espulsa dall’Argentina. Ora, all’aeroporto di Lima,
aspetta. Al di sopra delle Ande, sua figlia Tamara arriva volando da
lei. Tamara viaggia accompagnata da due delle nonne che l’hanno
trovata. Divora tutto quello che le servono sull’aereo, senza lasciare
una briciola di pane né un granello di zucchero. A Lima, Rosa e
Tamara scoprono sé stesse. Si guardano allo specchio, insieme, e sono
identiche: gli stessi occhi, la stessa bocca, gli stessi nei negli
stessi posti. Quando si fa notte, Rosa fa il bagno a sua figlia. Nel
metterla a letto, le sente addosso un odore come di latte, dolciastro;
e la lava di nuovo. E ancora una volta. E per quanto sapone usi, non
c’e’ modo di toglierle quell’odore.

È un odore strano… E
improvvisamente, Rosa ricorda.

    Quello è l’odore dei bebé quando hanno
finito di poppare: Tamara ha dieci anni e stanotte odora di neonata.

          Eduardo Galeano, Memoria del Fuoco III,
traduzione di Maria Antonietta Peccianti,

          Rizzoli, Milano 2001.

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Feroce candore delle maggioranze di potere…

 

  

 

    Feroce candore delle
maggioranze di potere… Ah! i difensori di una norma, quale che sia: norma
culturale, norma famigliare, norma aziendale, norma politica, norma religiosa,
norma di clan, di club, di banda, di quartiere, norma di igiene, norma del muscolo
o del cervello… Come si ritraggono, i custodi della norma, appena sentono
odore di incomprensibile, come si sentono perseguitati, allora, neanche fossero
soli di fronte a un complotto universale! Questa paura di essere minacciati da
ciò che non è fatto con lo stampino… Ah, la ferocia del potente quando fa la
vittima! Del ricco quando la povertà si accampa alla sua porta! Delle coppie
autenticate con marca da bollo di fronte alla divorziata rovinafamiglie!
Dell’autoctono che sente odor di profugo! Del credente che annusa il
miscredente! Del laureato di fronte all’insondabile idiota! Dell’imbecille
fiero di essere nato da qualche parte! E ciò vale anche per il capetto di
periferia che vede il nemico sul marciapiede di fronte… Come diventano
pericolosi, quelli che hanno capito i codici, di fronte a quelli che non li
posseggono!

Neanche i bambini si fidano.

 

Daniel Pennac, Diario di scuola, traduzione
di Yasmina Melaouah, Feltrinelli, Milano 2008, pagina 162.

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LA GUERRA DELLE STELLE – SECONDA E ULTIMA PUNTATA

 

 
 

 
 

 

 

 
 

Uscita dalla macchina il vento mi prese alla
sprovvista, e lo scialle mi si impigliò nella portiera che sbatté, chiudendosi
con uno scatto sulle frange nere. Sentii ridere, tante voci che ridevano, tante
che mi girai di scatto, e gli occhiali da sole nel girarmi mi caddero dal naso:
le risate salirono di tono, e abbacinata vidi nel cortile dell’edificio
grappoli di bambini che ridevano guardando la straniera, che ridevano della
straniera incapace. Goffa, felice mi scoprivo al di là di ogni dubbio, e
oggettivamente mi sentivo, straniera: qualche cosa mi veniva a sottrarre all’abituale
dolore che mi era inevitabile provare sentendomi tale anche quando non lo ero,
anche dove non avrei dovuto esserlo. Risposi alle loro risate ridendo; intanto
ero riuscita a liberarmi, e raggiunsi i miei due uomini al caffè sul lato
opposto della strada. Continue reading

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LA GUERRA DELLE STELLE – PRIMA PUNTATA

 

 

ماطماطة

القديمة

 

 

 

 

Quando partii per la Tunisia avevo con me, oltre a
una certa quantità di oggetti che sarà inutile elencare ma che forse verranno
nominati qui e là, e forse no, due certezze: che avrei visto il Sahara, e che
Sahara significasse: nulla. Entrambe le cose furono vere per metà.

La storia andò così.

Eravamo oramai da alcuni giorni in un’oasi, una
grande oasi costruita e abitata, con più di una locanda e – meraviglia – più di
una libreria.

"Tutti devono leggere, se vogliono"

disse il libraio quando me ne stupii, quando gli
chiesi come fosse possibile. Perché non si offendesse, gli spiegai che in
Italia, in un paese di altrettanti abitanti (più o meno ventimila) spesso di
librerie non ce n’è neanche una: fu lui a stupirsi. Nel pagare, mettendomi
Duras in una bustina di carta, disse:

"Mi spiace."

Dispiaceva anche a me.

Da alcuni giorni, dunque, eravamo a Gabés, quasi sul
mare. Continue reading

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EL CHILAMATE – storia per chi non dorme

 

 
 

 
 

 

 

 

 

C’è in Nicaragua un albero che ha nome chilamate. É molto alto e ha molti rami
e molte foglie verdi brillanti, grandi quanto la mano di un bambino. Fa anche
molta ombra e le radici sbucano dal suolo come nastri dalle morbide curve, così
che viene naturale, incontrandone uno, sedersi ad aspettare, per esempio,
oppure solamente sedersi. A parte questo non sembra che ci sia in un chilamate alcunché di speciale, e invece
c’è.

L’albero è sacro al sogno. Continue reading

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