EL CHILAMATE – storia per chi non dorme

 

 
 

 
 

 

 

 

 

C’è in Nicaragua un albero che ha nome chilamate. É molto alto e ha molti rami
e molte foglie verdi brillanti, grandi quanto la mano di un bambino. Fa anche
molta ombra e le radici sbucano dal suolo come nastri dalle morbide curve, così
che viene naturale, incontrandone uno, sedersi ad aspettare, per esempio,
oppure solamente sedersi. A parte questo non sembra che ci sia in un chilamate alcunché di speciale, e invece
c’è.

L’albero è sacro al sogno.

Quando fiorisce (un fiore ogni cent’anni, un solo
fiore bianco dai petali carnosi) bisogna prepararsi a passare la notte tra i
rami e le radici, portandosi magari una stuoia: arrivati, accertarsi di essere
soli (questo è molto importante), accomodarsi al suolo come si può, e disporsi
a dormire. Prima che venga il sonno si prega il chilamate di mostrarci nel sogno i nostri desideri più profondi, e
come realizzarli: oppure le paure, anche le più nascoste tra le nostre paure,
ed allo spirito dell’albero si chiede, in questo caso, di insegnarci come
annientarle – o come viverci insieme. Poi si chiudono gli occhi, e si rimane ad
aspettare che il sonno venga, e il sogno.

Al mattino, che ci si svegli scossi o sereni, prima
di andare via tocca fare tre cose: arrotolare la stuoia, stando attenti a non
lasciare tracce della notte nel giorno, arrampicassi attraversando la chioma
folta fino a risbucare sulla cima dell’albero, e lì cogliere il fiore e
mangiarlo. Questa è la cosa più importante: se si trascura di farla, chi
dovesse passare, nel vedere fiorito il chilamate
sicuramente si affretterebbe a salire tra i rami, e, giunto al fiore, lo
coglierebbe per il suo profumo dolce e inebriante.

Fin qui, nulla di male: ma nel profumo è oramai
contenuto il vostro sogno, ed ecco che, annusando, i desideri vostri
diverrebbero i suoi: oppure le paure, le più nascoste tra le vostre paure,
prenderebbero il posto delle sue. Le conseguenze sarebbero fatali: privati dei
propri desideri, prede degli incubi di un altro, la vita diventa insopportabile,
né si conosce rimedio a tanta mala sorte.

In quello stesso istante voi perdereste la memoria,
e camminando non vi rendereste conto di camminare, vi chiedereste cosa ci fate
con una stuoia sotto il braccio all’alba, non riconoscereste la strada, vi
perdereste a un passo dalla casa dove abitate. E non ricordereste nemmeno di
aver dormito, cosicché vi verrebbe un gran sonno; da quel momento confondereste
la notte con il giorno, la faccia con lo specchio, l’iguana con il gatto, e
piano piano il cibo e il libro, la musica e la sete, l’innamorata e il sole e
l’ombrello e la pioggia perderanno per voi nome e ragione d’essere.

Seduti sul gradino di una porta,nel chiasso di un mercato, nel silenzio di un vicolo, girandovi e agitandovi in un letto che forse è il vostro (non ne siete sicuri, voi non siete più sicuri di niente) pensate solo che tra cent’anni il chilamate tornerà a fiorire: è l’unica memoria che vi resta, ma non sapete che cosa
voglia dire.

 

 

Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5

This entry was posted in latinoamerica, nicaragua, racconti brevi. Bookmark the permalink.