NUDO FATTO CRUDO

 

 

 

 

 

 

 
 

 

 

È di nuovo maggio. Il
ventuno? No, il ventitré. Gesù, di già. Gli scrutini sono alle porte.

Tore, in poltrona, si stira i
muscoli nella penombra della finestra accostata quando la pendola suona le
cinque; dormii troppo, si rimprovera, e inforcati gli occhiali va a scaldarsi
il caffè.

Mezz’ora più tardi è immerso
nella correzione dei compiti di greco. Senza preavviso una fitta, più acuta del
solito, lo fa trasalire. S’alza e muove qualche passo nella stanza
massaggiandosi lo stomaco, ma non appena torna alla scrivania stracolma di
fogli protocollo lo invade la nausea. Da quando Maruzza se n’è andata non ha
più mangiato decentemente: surgelati mal cotti, pane in cassetta, fritti di
rosticceria, caffè contro il sonno e gocce per dormire a mai finire. Ma se c’è
una cosa che deve finire è proprio quel crogiolarsi nel dolore, il proprio
poi!, il più piccolo di tutti. Non può continuare. Una boccata d’aria, sì, e
camminare a piedi, ecco un’altra cosa da ricominciare a fare. Arrivare in
piazza, comprare pane col sesamo e frutta fresca, che in casa non ne entra da
troppo tempo.

Fuori: nemmeno un minuto più
tardi gli consegnano un bel pane, nuovo e fragrante, avvolto in un foglio di
carta marrone. Si comincia anche da qui, l’attesa d’uno scrollone che tutto
butti in aria ha fine e lo scrollone arriva, si convince Tore. Si comincia da
uno e poi vengono due e tre e quattro. Pian piano cambieranno, cambierò molte
cose. Ciò pensato piega a destra verso la bottega di Mimì ‘u nicu, così
chiamato più per la grazia d’uccello con cui muove le mani tra frutta e verdura
che per la sua minima statura. Lo vede sulla porta della bottega e affretta il
passo. Sono tornato, Don Mimì, sapesse. Niente sarà lo stesso.

Con un sacchetto di pesche e pomidoro tra le mani e il pane si sente più
leggero, euforico quasi, perfino ben disposto a tornare a correggere i compiti.
D’ora in poi, finestre spalancate! E mentre il pensiero di Maruzza, per la prima
volta, inizia a trascolorare in una luce di chiarezza e dolcezza, e Tore si
ripete che niente sarà più lo stesso, un boato nero arroventa l’aria di Capaci.
Di colpo il cielo è una follia di terra e fumo. Mancano due minuti alle sei.


 

 

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