PER VIA DELLE OCHE

 

 

 

 

  

 

 

 

 

La luce era
rimasta accesa: questa non ci voleva. Più di tre settimane fuori casa e ora,
regalo di benvenuto, la luce ancora accesa al piano di sopra. Miracolo che la
lampadina non si fosse fulminata. Miracolo che non fosse successo niente. A
quel pensiero Chiara scoppiò a ridere: se ne erano successe, di cose!

Prese
le chiavi, aprì la porta, tirò dentro i bagagli, la chiuse, attraversò
l’ingresso, spense l’interruttore ai piedi della scala, entrò in cucina, mise
il bollitore sul fuoco, accese la radio, si tolse le scarpe e finalmente si
mise a sedere e chiuse gli occhi. Una musichetta idiota – il disco dell’estate
che finiva – s’infilò in ogni angolo della casa vuota fino a riempirla,
dichiarandola tornata a tutti gli effetti. Tra bus, navette, aerei, treni,
metropolitane, corriere e taxi era stata più in piedi, aveva salito e sceso più
scale e camminato in poche settimane più di sua nonna Guglielmina in vita sua,
che viaggiava in omnibus e calesse. Guglielmina, che razza di nome.

Mentre
aspettava che l’acqua bollisse andò alla cassetta della posta e l’aprì; oltre
alla solita cartaccia e ad un paio di bollette c’erano ben quattro lettere.
Riconobbe subito quella che aspettava da un pezzo e la lasciò per ultima. Lesse
attentamente le altre godendo il racconto di Barbara, seguendo Fabio nelle
strade di New York, ridendo come una pazza alle ultime puntate del viaggio di
Agnese; quando il bollitore fischiò si preparò il tè, pregustando il momento
ormai imminente in cui la busta di Sara, bella gonfia, le avrebbe portato le
foto di maggio e l’aggiornamento sui sempre più folli intrecci di via delle
Oche 180 (dico io se è un indirizzo plausibile!).

Eccole lì:
Sara, lei e Cate sul ponte dietro casa, Sara e Piera nell’amaca, un autoscatto
di tutt’e quattro al tramonto, languido e bellissimo, Sara ai fornelli (un
evento!), Piera che faceva le smorfie mangiando il gelato, ancora Piera con il
gatto in braccio, Cate e Piera spettinate dal vento con Giacomo sullo sfondo
che legava la bici, e infine lei e Piera che cantavano a squarciagola in
balcone. Sistemò le foto davanti a sé e lesse la lunga lettera che le accompagnava.
Alla fine delle intricatissime cronache venete Sara concludeva chiedendole, con
pudore insolito, se andava tutto bene e se c’erano novità.

"Altroché!", pensò, abituandosi ad abbassare lo sguardo sulla pancia, "Guglielmina, se è femmina". Poi s’alzò e andò a prendere carta e penna per raccontarle tutto.

 


 

 

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